Dietro Usāma al‑Maṣrī Nağīm c’è una storia che sembra uscita da un film di spionaggio: potere militare, prigioni segrete, accuse pesantissime e persino un clamoroso caso diplomatico che ha fatto tremare Roma.
Dalle strade di Tripoli alle carceri di Mitiga
Usāma al‑Maṣrī Nağīm è nato a Tripoli il 16 luglio 1979.
La sua vita è legata alla storia più turbolenta della Libia. Dopo la caduta di Gheddafi nel 2011, mentre il Paese si frantumava tra milizie rivali, lui ha trovato spazio per emergere nelle Forze di deterrenza speciale.
Non era un reparto qualunque: controllava la prigione di Mitiga, un luogo di cui in pochi osano parlare apertamente. Secondo testimonianze raccolte da ONG e media internazionali, dentro quelle mura c’erano torture, stupri e sparizioni. Alcuni ex detenuti raccontano che il generale amava farsi vedere durante le punizioni, per far capire chi comandava davvero.
Quando la Corte Penale Internazionale ha bussato alla porta
Nel 2024 la sua storia arriva fino a L’Aia. La Procura della CPI lo accusa di crimini contro l’umanità. Non parliamo di un episodio isolato, ma di una lunga sequenza di violenze: omicidi, torture, violenze sessuali, persecuzioni di civili e migranti.
Il 2 ottobre 2024 parte la richiesta di mandato di arresto, che diventa ufficiale il 18 gennaio 2025. A quel punto il suo nome entra nella lista nera dei ricercati internazionali.
L’Italia lo arresta… e lo lascia andare
Il 19 gennaio 2025 succede l’imprevedibile.
Al‑Maṣrī arriva in Italia, a Torino, e viene arrestato grazie a un avviso Interpol. Sembrava la svolta: l’uomo accusato delle peggiori atrocità era finalmente in custodia.
E invece, appena due giorni dopo, tutto si ribalta. La Corte d’Appello di Roma annulla il fermo per un cavillo procedurale: il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non era stato avvisato in anticipo, come prevede la legge per i mandati ICC.
Il 21 gennaio un aereo di Stato lo riporta a Tripoli. Ad accoglierlo, bandiere e applausi di alcune fazioni libiche. Un sospettato di crimini di guerra che torna libero come un eroe. Ti sembra normale?
Lo scandalo che ha travolto il governo
Il rimpatrio-lampo ha acceso un incendio politico in Italia.
Il Tribunale dei Ministri di Roma ha aperto un’inchiesta su Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano. L’accusa? Possibile favoreggiamento e uso improprio di risorse pubbliche.
Cinque mesi dopo, al 5 agosto 2025, la situazione è chiara a metà.
Meloni è stata prosciolta: nessuna prova di responsabilità diretta.
Nordio, Piantedosi e Mantovano restano indagati.
Intanto l’Italia ha spiegato alla Corte Penale Internazionale di aver agito “in buona fede”, parlando di confusione sulle procedure.
L’eco internazionale e un generale ancora libero
La storia non si è chiusa lì.
Le immagini del suo ritorno a Tripoli hanno fatto il giro del mondo, scatenando la rabbia di ONG e attivisti per i diritti umani. Per la CPI, il mandato di arresto è ancora valido. Ma finché Al‑Maṣrī resta in Libia, nessuno sembra pronto a consegnarlo.
Oggi il generale vive libero, mentre sulle sue spalle pesano le accuse più gravi: omicidi, torture, stupri. È diventato il simbolo di due cose opposte: in patria un eroe per alcuni, all’estero il volto dell’impunità.
Domande che in molti si fanno
Quali crimini gli vengono contestati? Omicidio, tortura, stupro e persecuzione di civili e migranti dal 2015 in poi.
Perché è stato liberato dall’Italia? Per un vizio di procedura: mancava la comunicazione preventiva al ministro della Giustizia.
È ancora ricercato? Sì, il mandato ICC è attivo, ma senza la collaborazione della Libia è carta quasi inutile.
Chi resta sotto inchiesta in Italia? a Oggi, Nordio, Piantedosi e Mantovano. Meloni è fuori dal fascicolo.

Sono giornalista pubblicista laureata in letteratura e content manager con una grande passione per la scrittura






