La chiamano già “legge Bove”, ma in realtà, al 19 novembre 2025, si tratta di un disegno di legge sul primo soccorso, presentato in Parlamento e intitolato al calciatore Edoardo Bove, diventato volto simbolo di questa battaglia culturale.
L’idea di fondo è semplice, ma enorme nelle conseguenze: non basta avere ambulanze e ospedali efficienti se, nei primi minuti critici di un’emergenza, chi è presente non sa cosa fare. La proposta punta quindi a diffondere la formazione al primo soccorso in modo capillare: scuole, autoscuole, università, mondo dello sport.
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Perché si chiama “legge Bove” e da dove nasce
Il nome non è casuale. Edoardo Bove, giovane calciatore professionista, è da tempo impegnato in una campagna di sensibilizzazione sul tema del primo soccorso, dopo episodi che hanno riportato al centro dell’attenzione i malori improvvisi in campo e negli impianti sportivi.
Dietro alla proposta c’è un dato che fa impressione: decine di migliaia di persone ogni anno in Italia perdono la vita in situazioni in cui, con manovre di primo soccorso eseguite nei primi minuti, l’esito avrebbe potuto essere diverso. Arresti cardiaci improvvisi, soffocamenti, traumi gravi: spesso sono i presenti sul posto a poter fare la differenza, molto prima dell’arrivo dei sanitari.
La legge Bove nasce esattamente qui: trasformare cittadini, studenti, insegnanti, guidatori e operatori sportivi in persone almeno minimamente preparate a intervenire.
Cosa prevede nel dettaglio il disegno di legge
Entriamo nel cuore del testo.
Il disegno di legge stabilisce innanzitutto che lo Stato debba finanziare e organizzare corsi di formazione di primo soccorso rivolti a una serie di categorie precise.
La prima grande area è quella della scuola. La proposta prevede che gli studenti maggiorenni delle scuole secondarie di secondo grado, quindi licei, istituti tecnici e professionali, seguano corsi strutturati di primo soccorso. Non si parla di una semplice “chiacchierata” teorica, ma di percorsi con una parte pratica, che includono simulazioni, utilizzo del manichino per la rianimazione cardiopolmonare e nozioni sull’uso del defibrillatore semiautomatico (DAE).
A questi si aggiungono gli studenti dei percorsi triennali e quadriennali di istruzione e formazione professionale gestiti dalle Regioni. Anche per loro il disegno di legge immagina un percorso con contenuti omogenei a livello nazionale, in modo che, cambiando territorio, non cambi la qualità dell’addestramento.
Un altro punto centrale riguarda gli insegnanti di scienze motorie e sportive, sia nelle scuole secondarie di primo grado (le vecchie medie) sia in quelle di secondo grado. Per chi lavora ogni giorno in palestra, segue ragazzi in attività fisica, organizza tornei e uscite sportive, secondo il testo non è più pensabile non avere una formazione specifica sulle emergenze: malori, traumi, incidenti durante gli allenamenti. La legge prevede di finanziare corsi di abilitazione e aggiornamento periodico anche per loro.
Il disegno di legge poi esce dall’ambito stretto della scuola e tocca un terreno che riguarda quasi tutti: la patente di guida. Nella sua formulazione, la norma stabilisce che la frequenza di un corso certificato di primo soccorso diventi uno dei requisiti per ottenere l’idoneità alla patente. In pratica, insieme agli esami di teoria e guida, sarebbe richiesto un attestato che dimostri la partecipazione a un corso riconosciuto.
Questa scelta ha una logica precisa: chi guida è spesso il primo a trovarsi sulla scena di un incidente stradale, e avere almeno le basi su come allertare i soccorsi, mettere in sicurezza l’area, prestare assistenza senza creare ulteriori danni, può cambiare radicalmente l’esito di un sinistro.
Un’altra area toccata riguarda le università e i corsi di laurea in scienze motorie e affini. Il disegno di legge prevede che per partecipare alle prove di accesso ad alcuni corsi di laurea e di diploma in scienze motorie sia necessario aver ottenuto un attestato di formazione al primo soccorso. L’idea? Chi intraprende un percorso professionale legato al corpo, all’attività fisica, allo sport, debba essere da subito abituato a considerare il primo soccorso come parte integrante della propria competenza.
Infine, c’è un tassello economico ma fondamentale: la proposta di ridurre l’IVA sui defibrillatori semiautomatici. L’obiettivo dichiarato è abbassare il costo di questi dispositivi, passando da un’aliquota piena a una agevolata. Perché? Perché un defibrillatore presente in palestra, in un impianto sportivo, in una scuola o in un centro commerciale aumenta in modo enorme le probabilità di sopravvivenza in caso di arresto cardiaco. Eppure, ad oggi, il prezzo resta spesso un ostacolo.
L’insieme di queste misure – formazione obbligatoria nelle scuole, requisito per la patente, requisito per alcuni corsi universitari, agevolazioni per i defibrillatori – costruisce un disegno coerente: fare del primo soccorso una competenza comune, non un sapere di nicchia.
Come saranno strutturati i corsi (e cosa si impara)
Il disegno di legge non entra al millimetro nel dettaglio di ogni singolo modulo formativo, ma indica con chiarezza la direzione: corsi pratico-teorici, affidati a soggetti qualificati (come personale sanitario, enti formativi accreditati, associazioni di soccorso riconosciute), con contenuti minimi standardizzati a livello nazionale.
In concreto, cosa si immagina che una persona formata secondo la “legge Bove” sappia fare?
Dovrebbe saper riconoscere un’emergenza: capire quando una persona è in arresto cardiaco, quando sta soffocando, quando è in stato di incoscienza ma respira, quando può esserci un trauma grave.
Dovrebbe conoscere i passaggi fondamentali della rianimazione cardiopolmonare (RCP): posizione del soccorritore, frequenza e profondità delle compressioni toraciche, coordinamento con eventuali respiri di soccorso, tempi.
Dovrebbe sapere come usare un defibrillatore semiautomatico (DAE): accensione, applicazione delle piastre, rispetto delle indicazioni vocali del dispositivo.
Dovrebbe avere chiari alcuni principi base di sicurezza della scena: non esporsi a pericoli inutili, non spostare traumatizzati in modo improprio, segnalare un incidente, gestire la presenza di altre persone sul luogo.
Dovrebbe saper attivare correttamente il sistema di emergenza, comunicando in modo chiaro con il 112/118, dando indicazioni precise su luogo, numero di persone coinvolte, dinamica dell’evento.
Si tratta di nozioni che, prese singolarmente, non sono complesse, ma che – se insegnate bene e ripetute nel tempo – possono trasformare completamente la risposta collettiva di un Paese di fronte alle emergenze.
Cosa cambia concretamente per scuole, autoscuole e sport
Per le scuole superiori, la legge comporta un vero e proprio ripensamento dell’offerta formativa. Dovranno inserire a calendario i corsi, trovare le ore, coordinarsi con gli enti formatori, gestire gli spazi (aule, palestre, laboratori). Non è solo una questione teorica: manichini per la RCP, defibrillatori per la simulazione, materiale didattico, attestati finali.
Gli insegnanti di scienze motorie dovranno probabilmente seguire a loro volta percorsi di aggiornamento specifici, con momenti di formazione periodica per mantenere le competenze vive. Non basta un corso una volta nella vita: le manovre di primo soccorso vanno ripassate, provate, interiorizzate.
Le autoscuole, d’altra parte, dovranno inserire nel loro percorso una tappa obbligata dedicata al primo soccorso. Potrebbe trattarsi, per esempio, di una collaborazione strutturata con enti esterni che rilasciano l’attestato richiesto per la patente, oppure di moduli integrati nelle lezioni teoriche tradizionali, a cui si aggiunge una parte pratica.
Il mondo dello sport, infine, è uno degli ambiti più direttamente toccati, anche solo per il fatto che l’attenzione sul primo soccorso nasce proprio da lì. Avere più istruttori, allenatori e professori abilitati significa ridurre il rischio che un malore o un incidente in campo venga gestito in modo improvvisato. Non è un dettaglio: i tempi di intervento, in molti di questi casi, si misurano in minuti, a volte in secondi.
I punti ancora aperti e le criticità
C’è però un aspetto che non va dimenticato: al momento la “legge Bove” è ancora un disegno di legge. Questo vuol dire che il testo è soggetto a modifiche, emendamenti, discussioni in commissione e nelle aule parlamentari. Alcuni punti potranno essere precisati, altri alleggeriti, altri ancora rafforzati.
Le principali criticità riguardano soprattutto la messa in pratica. Servono fondi certi, una regia nazionale che coordini scuole, Regioni, autoscuole, università, associazioni sportive e enti di formazione, e serve chiarire chi farà cosa. C’è il rischio, come spesso accade, che una buona idea resti parzialmente applicata o a macchia di leopardo.
Un’altra domanda riguarda i tempi: quando, concretamente, l’obbligo di attestato per la patente entrerà a regime? Ci sarà un periodo transitorio? Come si gestiranno le domande già in corso? E per i corsi universitari, la richiesta dell’attestato sarà immediata o graduale?
Tutte questioni che dovranno essere definite dai decreti attuativi e dalle eventuali circolari successive, una volta che la legge verrà approvata in via definitiva.
Perché questa legge può cambiare la cultura del soccorso in Italia
Al di là dei dettagli tecnici, la vera rivoluzione della legge Bove sta in un cambio di mentalità: il primo soccorso non è più qualcosa “da addetti ai lavori”, ma una competenza di cittadinanza.
Significa dire, in modo chiaro, che ogni persona adulta dovrebbe sapere come reagire di fronte a una persona che non respira, che perde conoscenza, che ha un arresto cardiaco o un trauma serio. Non per sostituirsi al medico, ma per accompagnare la persona viva fino all’arrivo dei soccorsi.
È una responsabilità grande, certo, ma è anche una forma di emancipazione collettiva. Non stare a guardare, non girarsi dall’altra parte, non dire “non saprei cosa fare”: questa è la vera posta in gioco.
E tu? Se domani ti trovassi davanti a qualcuno che crolla a terra, sapresti dove mettere le mani, cosa dire al 112, come iniziare un massaggio cardiaco? È per arrivare a un “sì” sempre più convinto a questa domanda che nasce la legge Bove.
FAQ sulla legge Bove e il primo soccorso
Chi è obbligato a fare il corso di primo soccorso secondo la legge Bove?
Nella formulazione del disegno di legge, sono coinvolti gli studenti maggiorenni delle scuole superiori, gli studenti dei percorsi di formazione professionale, gli insegnanti di scienze motorie delle scuole medie e superiori, chi si prepara a conseguire la patente di guida e chi intende accedere ad alcuni corsi di laurea e diploma in scienze motorie.
La legge Bove è già in vigore?
No. Al 19 novembre 2025 si tratta ancora di un disegno di legge in iter parlamentare. Dovrà essere approvato in via definitiva da Camera e Senato e successivamente attuato con i provvedimenti necessari.
I corsi saranno gratuiti?
L’impianto del disegno di legge prevede finanziamenti pubblici per organizzare i corsi nelle scuole e per la formazione degli insegnanti. Per le autoscuole e altri contesti, molto dipenderà dalle modalità con cui verranno siglate le convenzioni e definite le tariffe, una volta approvati i testi definitivi.
Quanto dura un corso di primo soccorso di questo tipo?
Il disegno di legge individua la necessità di una formazione teorico-pratica con standard minimi comuni, ma la durata esatta (numero di ore, articolazione in moduli) dovrà essere fissata nei provvedimenti attuativi e nelle linee guida operative, in modo uniforme sul territorio nazionale.
Cosa cambia per chi sta già prendendo la patente o è già iscritto all’università?
Di solito, quando vengono introdotti nuovi requisiti, la normativa prevede periodi transitori e regole specifiche per chi ha già avviato il percorso. Nel caso della legge Bove, questi dettagli dovranno essere definiti al momento dell’approvazione definitiva e nei successivi atti applicativi.

Sono giornalista pubblicista laureata in letteratura e content manager con una grande passione per la scrittura






