Federica Pellegrini e Matteo Giunta, in un’intervista doppia, hanno ripercorso la loro storia d’amore, iniziata nel 2018 e coronata dopo due anni con il matrimonio, seguita due anni dopo ancora dalla nascita della figlia Matilde. Durante il confronto, hanno condiviso non solo come si sono innamorati e come vivono la loro relazione, ma anche riflessioni sul delicato tema della gravidanza, affrontando il peso delle aspettative sociali e il carico mentale che grava ancora soprattutto sulle donne.
La storia d’amore fra la Pellegrini e Giunta
Nel corso dell’intervista, Matteo Giunta ha confessato di aver subito percepito Federica come “la persona giusta”, mentre la nuotatrice scherza ironicamente sulle origini del loro legame: “L’ho conquistato con il mio tiramisù. Prima l’alcol per farlo ubriacare, poi il dolce come colpo finale”. Quanto a lui, Matteo ha evidenziato la sintonia tra loro, alternata a differenze caratteriali che rendono il rapporto sempre stimolante. Per Federica, invece, l’amore è stato un’evoluzione graduale, iniziato come una cotta e lentamente maturato al punto da immaginare insieme dei progetti importanti.
La decisione di ritirarsi dalle gare non è stata facile per Federica, ma Matteo è stato un pilastro fondamentale in quella fase: “È stato un momento cruciale di crescita reciproca. Sapevamo di avere una base solida su cui costruire: il matrimonio, l’idea di avere un figlio… tutto è arrivato naturalmente”. Nel loro libro scritto a quattro mani, In un tempo solo nostro, i due parlano anche della nascita di Matilde, ma anche delle pressioni esterne legate alla maternità .
Il dolore e la rabbia della Pellegrini
Federica ha dichiarato di essersi sentita oppressa dalle continue domande sulla possibilità di avere figli, definendole quasi una violenza sociale: “Dopo tutto ciò che avevo realizzato sia come donna sia come atleta, sembrava che diventare madre fosse un obbligo per completare il mio destino”. Matteo ha aggiunto al discorso una riflessione: “Alle donne viene chiesto continuamente quando faranno un figlio, agli uomini mai. Eppure, per diventare genitori servono entrambi”. La coppia aveva anche preso in considerazione l’adozione nel caso in cui non fossero riusciti ad avere figli naturalmente. Federica ha raccontato il loro approccio fatalista alla situazione: “Abbiamo pensato che se la natura avesse voluto aggiungere un terzo cuore al nostro amore, sarebbe stato benvenuto; altrimenti avremmo accettato il destino. Non serviva un figlio per considerarci completi”. Per entrambi, la loro connessione e la vita condivisa – anche con i loro amati cani – erano già sufficienti.
Il ricordo del parto della piccola Matilde e il tema del baby blues
Matilde è nata dopo un parto complesso, ma Federica Pellegrini si dimostra fiduciosa nel tempo che smussa gli spigoli delle esperienze dolorose: “Sentire di nuovo il dolore fisico del parto richiederebbe uno sforzo di memoria”. Nel libro trattano anche il tema del baby blues. Federica spiega di aver affrontato le difficoltà grazie alla capacità di riconoscere le proprie emozioni, alimentata dagli anni da atleta: “Ho capito che qualcosa non andava quando mi sono ritrovata a piangere senza controllo per due sere di seguito. Contattare la mia psicologa Bruna è stato naturale. Da sportiva mi sono abituata a chiedere aiuto quando ne avevo bisogno”.
La complicità e le emozioni di papà Matteo
Per Matteo quel periodo è stato difficile. Si sentiva incapace di alleviare la sofferenza di Federica nonostante i suoi tentativi: “Ho cercato di aiutarla occupandomi di tutte le incombenze quotidiane, ma il legame esclusivo tra madre e figlia era qualcosa in cui non riuscivo a entrare. Quando ha deciso di confrontarsi con Bruna ho tirato un sospiro di sollievo, perché vedevo che stava lentamente migliorando”. Entrambi sottolineano quanto sia ancora sbilanciata la distribuzione del carico mentale tra i genitori, con le donne che spesso si trovano a portarne tutto il peso. Matteo chiude con una nota critica: “È preoccupante sentire frasi tipo ‘Ma lo fanno tutti, cosa vuoi che sia…’. Non va così”.

Tedesco Giorgia, classe ’95.
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