Nelle cantine di Arona, dove il formaggio “cresce”: ritratto di Guffanti

Daniela Devecchi

Nelle cantine di Arona, dove il formaggio “cresce”: ritratto di Guffanti

C’è un modo tutto italiano di aspettare. Non è immobilità: è ascolto. Nelle cantine di Arona, a due passi dal Lago Maggiore, il formaggio non viene semplicemente conservato: viene “allevato”, parola che la famiglia Guffanti usa da cinque generazioni per raccontare un mestiere di cura più che di possesso.
Dal 1876, qui si selezionano forme di vacca, capra, pecora e bufala e le si accompagna nel tempo finché trovano la loro voce.

Un’azienda di famiglia, un lessico preciso

Il capostipite si chiamava Luigi Guffanti. È il suo nome che ancora oggi introduce la ragione sociale, come promemoria di una genealogia di gesti tramandati più che di slogan.
Oggi l’impresa è nelle mani di Carlo Guffanti Fiori e dei figli Giovanni e Davide, quarta e quinta generazione unite da un linguaggio comune: “allevatori di formaggi”.
Un’espressione che non è un vezzo retorico, ma una dichiarazione di metodo: attenzione ai produttori, agli animali, ai microclimi e ai tempi naturali della stagionatura.

Perché Arona

La posizione geografica non è un dettaglio pittoresco. Siamo in pianura, vicino alla riva del lago e a un torrente ampio: elementi che da sempre influenzano temperatura e umidità delle cantine, cioè la struttura stessa dei formaggi.
L’aria, qui, lavora insieme all’uomo: regola i ritmi della crosta, sostiene gli aromi, modula le consistenze.
Non è curioso quanto un paesaggio, da solo, possa cambiare il gusto?

Dalle cavità alla cantina: la pazienza come infrastruttura

Nell’Ottocento, prima dei controlli climatici moderni, l’unico modo per stagionare bene era affidarsi a grotte e cavità naturali.
Luigi Guffanti ne acquistò una, una miniera abbandonata in Valganna, “tecnologia” ante litteram che garantiva costanza di temperatura e umidità.
Da lì nasce l’imprinting della casa: interpretare gli ambienti come strumenti di lavoro tanto quanto le spazzole, le corde e le assi di legno.

Che cosa fa, davvero, uno stagionatore

La stagionatura non è maquillage: è una trasformazione guidata, fatta di scelte quotidiane.
Girare le forme, spazzolarle, cambiare la collocazione in scaffale, decidere quando interrompere il tempo e dire “adesso”.
Serve conoscere i casari e i loro latti, ma anche la flora batterica della cantina, le sue perturbazioni, le reazioni ai cambi di stagione.
“Allevare” significa prendersi responsabilità del carattere finale: un equilibrio tra sapidità, profumi e pasta.
Davvero pensavi che il bello arrivasse solo dal latte?

Un patrimonio di forme (e storie)

Chi entra nelle cantine di Arona trova scaffali di legno fitti di forme diverse per tipologia, età e provenienza: l’Italia lattiero-casearia riunita in un corridoio sotterraneo.
Le visite guidate, su appuntamento, raccontano tecniche, criteri di selezione e abbinamenti: un percorso didattico oltre che sensoriale, con la possibilità di acquistare nel negozio adiacente.
È un invito a toccare con mano come cambiano croste e profumi passaggio dopo passaggio.

Il negozio ad Arona: il banco come libro aperto

Il punto vendita Guffanti è un’estensione naturale delle cantine.
Non è soltanto un luogo di acquisto, ma un front office del sapere caseario: si chiede, si assaggia, si impara.
Gli orari, scanditi come un orologio di bottega, restituiscono la misura artigiana del lavoro.
E per chi non può raggiungere il Lago Maggiore, la casa ha sviluppato una rete di distribuzione che tutela la catena del freddo e garantisce la qualità fino all’ultimo chilometro.

Un mestiere che si vede (e si ascolta)

Durante le visite, c’è un momento in cui tutto si ferma.
Qualcuno batte con le nocche sulla forma e attende la risposta: sorda, viva, troppo piena?
È un gesto minuscolo che spiega meglio di lunghe definizioni cos’è la stagionatura: un dialogo continuo con un organismo in trasformazione.
Molti visitatori lo ricordano come l’istante in cui il formaggio smette di essere un “prodotto” e torna a essere materia viva.

Memoria e contemporaneità

La storia di Guffanti attraversa due secoli, ma non si nutre di nostalgia.
La tradizione qui è una grammatica, non un feticcio: serve a leggere l’oggi e a fare spazio a nuovi latti, nuovi casari, nuove richieste.
L’azienda apre le sue cantine, collabora a iniziative culturali e pubblica materiali divulgativi: un modo per restituire al pubblico il valore culturale del formaggio e del tempo che richiede.
Lo sapevi che esiste perfino un “album da colorare” sulla storia del formaggio? Segno che educare al gusto si può fare anche con leggerezza.

Chi entra da Guffanti non “compra formaggi”: visita un paesaggio in penombra, fatto di legno, aria e attese. E torna a casa con la sensazione, rara, di aver assaggiato anche un po’ di tempo.