Ci sono allenatori che non hanno mai bisogno di urlare per farsi rispettare. E ci sono storie che non finiscono con un fischio d’arbitro.
Miguel Ángel Russo era uno di quegli uomini che si sono guadagnati tutto, passo dopo passo, in campo e fuori. La sua morte, l’8 ottobre 2025, a soli 69 anni, ha colpito duro il calcio argentino e mondiale. Ma chi era Russo?
Non solo un allenatore vincente, ma anche un esempio di dignità, coraggio e umanità.
Un ragazzo di Buenos Aires che diventa una bandiera
Miguel Ángel Russo nasce il 9 aprile 1956 nella capitale argentina, in una famiglia semplice. Il pallone, per lui, è subito tutto: passione, scuola, strada, sogno.
Arriva all’Estudiantes de La Plata da ragazzo e lì rimane per tutta la carriera, un caso raro di fedeltà.
Con la maglia biancorossa gioca dal 1975 al 1988, oltre 400 partite, due campionati argentini vinti, una storia di sudore e di partite sporche, come piaceva a lui.
Anche in nazionale si fa valere: 17 presenze, un gol, la sensazione di essere sempre utile e mai fuori posto.
Dal campo alla panchina: la rinascita del Boca e i mille viaggi
Appesi gli scarpini, Miguel non resta lontano dal campo.
Comincia subito la carriera da allenatore, una scalata che lo porta in tutte le piazze del Sudamerica: Rosario Central, Vélez Sarsfield, Racing Club, ma anche tappe fuori dall’Argentina come i colombiani del Millonarios.
Ma il nome di Russo brilla soprattutto accanto al Boca Juniors.
Nel 2007 si prende una squadra piena di aspettative e la conduce dove tutti sognano: vince la Copa Libertadores, il trofeo più desiderato del continente, restituendo ai tifosi della Bombonera la gloria delle notti magiche.
Il suo Boca è pratico, solido, non sempre spettacolare ma capace di vincere, e tanto basta per entrare nella storia.
Torna al Boca anche nel 2020 e poi ancora, ogni volta chiamato nei momenti complicati: segno che, quando serve carattere e gestione, il suo telefono squilla sempre.
Anche in Colombia, con il Millonarios, si toglie lo sfizio di vincere un campionato, confermandosi allenatore capace di adattarsi e vincere ovunque.
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Il coraggio nella malattia: Russo e la sua ultima sfida
Gli ultimi anni non sono stati semplici: un tumore alla prostata, operazioni, ricadute, complicazioni alla vescica.
Eppure, Russo non ha mai usato la malattia come scusa.
Nel 2025 aveva ripreso la guida tecnica del Boca, ma poche settimane fa era stato costretto a lasciare l’incarico proprio per aggravarsi della malattia.
Nonostante tutto, fino all’ultimo si è fatto sentire vicino alla squadra, continuando a dare consigli, a trasmettere la sua mentalità vincente e il suo rispetto per il calcio.
Un uomo normale, un esempio fuori dai riflettori
Di Russo tanti dicono la stessa cosa: uno che non faceva scenate, che preferiva parlare di calcio, di lavoro, piuttosto che mettersi al centro.
Ex compagni, giocatori, colleghi allenatori lo ricordano come un uomo serio, educato, di poche parole ma sempre quelle giuste.
In un calcio che spesso esagera, lui rappresentava la via della sobrietà, della preparazione silenziosa, del rispetto per tutti.
Era capace di conquistare lo spogliatoio senza urlare, di gestire campioni e giovani, di restare se stesso anche sotto pressione.
L’addio di Buenos Aires e il ricordo della Bombonera
La notizia della morte di Russo si è sparsa in poche ore: il Boca Juniors, l’Estudiantes, i club che lo hanno visto protagonista, tutti hanno pubblicato messaggi di cordoglio, con la Bombonera in silenzio e le curve piene di striscioni.
I tifosi lo hanno salutato come si fa con chi è di famiglia, con chi ha dato tutto senza mai chiedere nulla in cambio.
Miguel Ángel Russo lascia il calcio argentino più povero, ma anche una traccia forte: la prova che si può vincere senza perdere la testa, che si può essere grandi senza essere superstar, che il rispetto si costruisce in una vita e resta per sempre.
FAQ – Tutto quello che i tifosi vogliono sapere su Miguel Ángel Russo
Quando e dove è nato Miguel Ángel Russo?
Il 9 aprile 1956 a Buenos Aires, Argentina.
Perché è famoso?
Per aver vinto la Copa Libertadores da allenatore del Boca Juniors e per essere stato una bandiera da calciatore all’Estudiantes.
Quanti anni aveva e di cosa è morto?
Aveva 69 anni. È scomparso dopo una lunga lotta contro un tumore alla prostata con complicazioni alla vescica.
Quali squadre ha allenato?
Tra le altre: Boca Juniors, Estudiantes, Rosario Central, Vélez, Racing, Millonarios e varie altre tra Argentina, Colombia e Sudamerica.
Che tipo di allenatore era?
Serio, preparato, umano: sapeva vincere senza mai perdere lo stile.
Cosa lascia al calcio?
Una lezione di rispetto, dedizione e normalità: il calcio argentino non dimenticherà mai il suo esempio.
“Head Staff”, giornalista pubblicista laureata in letteratura, amo scrivere e apprendere costantemente cose nuove. Trovo che il mestiere del giornalista sia uno dei più affascinanti che esistano. Ti consente di apprendere, di conoscere il mondo, farti conoscere e di entrare in simbiosi con il lettore






