Oggi 22 agosto 2025 un giudice ha stabilito la chiusura di Alligator Alcatraz, sulla scia dell’acceso dibattito e delle polemiche sui diritti umani e sull’impatto ambientale della struttura. Ma che cos’è Alligator Alcatraz, costruito in Florida tra le paludi delle Everglades?
Storia e origini del nome
Alligator Alcatraz, ufficialmente South Florida Detention Facility, è una prigione inaugurata il 3 luglio 2025 presso l’ex scalo Dade-Collier Airport, nel Big Cypress National Preserve, in Florida. Realizzato in solo 8 giorni grazie a misure di emergenza per contenere e processare i migranti dell’U.S. Immigration and Customs Enforcement (ICE), il nuovissimo centro di detenzione è diventato in brevissimo tempo il simbolo più controverso delle politiche migratorie degli Stati Uniti e del presidente Donald Trump.
Il suo nome, Alligator Alcatraz, rimanda al famigerato penitenziario di massima sicurezza dell’isola di San Francisco, evocando da subito l’idea di una prigione inespugnabile. “Alligator”, invece, fa riferimento agli alligatori delle Everglades, utilizzati per sottolineare metaforicamente la pericolosità del luogo. Il soprannome è nato fin dall’annuncio del progetto.
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Le controversie e l’ordine di chiusura
La prigione per migranti è stata subito al centro delle polemiche e oggetto di proteste da parte degli ambientalisti locali, delle tribù di Indiani della Florida e degli attivisti per i diritti umani, preoccupati sia per il danno ai delicati equilibri del sistema paludoso delle Everglades sia per le condizioni igienico-sanitarie dei detenuti. Inoltre, alcune aziende legate al governo statale sono state criticate per mancanza di trasparenza negli appalti.
Oggi il giudice distrettuale di Miami, Kathleen Williams, ha ordinato la chiusura di Alligator Alcatraz entro 60 giorni e ha stabilito che nessun altro detenuto sarà portato nella struttura durante la sua chiusura, definendo la costruzione voluta dall’amministrazione Trump una violazione delle leggi ambientali e dei diritti umani. La sorprendente sentenza ha ascoltato le proteste per le dure condizioni, gli abusi sui detenuti e la negazione del giusto processo in attesa della deportazione. Tra i 700 detenuti, vi sono stati due cittadini italiani, Gaetano Cateno Mirabella Costa e Fernando Eduardo Artese, trasferiti in un altro centro e poi tornati in Italia.

Copywriter da undici anni, laureata e appassionata di Storia in tutte le sue forme. Amo collezionare libri e vivere in natura il più possibile. Scrivere mi permette di esprimere me stessa e di stare vicina agli altri.






