La storia piccante di Nduja San Donato

Daniela Devecchi

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La storia piccante di Nduja San Donato

In Calabria certe cose non si raccontano solo con le parole. Si raccontano con il profumo del peperoncino che si asciuga al sole, con il rumore del coltello sul tagliere, con il calore di una cucina piena di gente.
La storia di Nduja San Donato nasce così, negli anni Cinquanta, grazie ad Antonio Pugliese, che tutti chiamavano “’u Bolognesi”. Non stava mai fermo: d’inverno girava tra le case per aiutare le famiglie nel rito del maiale. Un lavoro di mani e di pazienza, dove ogni gesto aveva un significato preciso.

Negli anni, i figli Tommaso e Pasquale hanno preso il suo posto. E a un certo punto hanno deciso: basta farlo solo per pochi, è ora di portare questa tradizione più lontano. Hanno costruito lo stabilimento proprio in un luogo chiamato “San Donato”. Un nome semplice, ma carico di radici. Il padre non ha fatto in tempo a vedere il sogno realizzato, ma in ogni salume c’è ancora la sua impronta.

La sede è incastonata tra le colline del Monte Poro. Intorno solo verde, vento e il profumo che cambia con le stagioni. Qui non c’è rumore di macchinari industriali, solo il passo lento delle lavorazioni: si macina, si insacca, si affumica e si aspetta. Perché certe cose non si possono accelerare.
E forse è proprio questa calma a fare la differenza: ogni pezzo viene seguito, controllato, curato. Non è solo produzione, è attenzione.

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Tre ingredienti, nessun trucco

Alla base c’è una ricetta cortissima: carne di suino italiano, peperoncino rosso calabrese essiccato, sale. Fine. Niente additivi, niente conservanti.
Il peperoncino non serve solo a dare colore: è il cuore del sapore, è quello che, insieme al grasso della carne, crea la consistenza cremosa e quel piccante che ti resta.

Una volta la ‘nduja era il modo di non buttare via nulla. Si usavano le parti più grasse del maiale, si macinavano, si mescolavano al peperoncino e al sale e si metteva tutto a stagionare. Bastava un cucchiaio per dare vita a un piatto di pasta o a una zuppa di fagioli.
Oggi è diventata un ingrediente ricercato, ma dentro conserva ancora la sua anima di cucina di necessità. E forse è questo il suo segreto: è rimasta autentica.

Pane caldo, appena tagliato, con un velo di ‘nduja che si scioglie. Un sugo di pomodoro che improvvisamente acquista profondità. Una pizza che diventa indimenticabile.
E se provassi a metterla in una frittata? O sciolta in olio per condire le verdure? Il bello è che ogni volta sorprende.

Una storia che non smette di crescere

Nduja San Donato non è solo un’azienda: è una famiglia che porta avanti un mestiere antico con lo stesso rispetto di un tempo. Qui non si corre. Qui si aspetta il momento giusto, perché il sapore non si misura in giorni ma in gesti. E ogni volta che apri un pezzo, un po’ di quella storia arriva fino a te.