La chiamavano “la figlia che non ho mai avuto”. Così Lorena Venier descriveva Mailyn Castro Monsalvo, compagna del figlio Alessandro e madre della sua nipotina. Eppure, è proprio da quel legame profondo e apparentemente pieno di affetto che si sarebbe scatenato l’orrore: il delitto di Gemona, dove Alessandro Venier è stato ucciso, fatto a pezzi e nascosto in un bidone coperto di calce viva.
Ma chi è Mailyn? Vittima di abusi o mente di un piano premeditato? La verità, come spesso accade, non è mai lineare.
Origini colombiane e una nuova vita in Friuli
Mailyn ha trent’anni ed è originaria della Colombia. Era arrivata in Italia da alcuni anni e viveva con Alessandro a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Lavorava come operatrice socio-sanitaria, con un impiego stabile nelle case di riposo locali. Una vita semplice, costruita giorno per giorno.
Poi la nascita della bambina, sei mesi fa. Una svolta che, anziché unirla di più al compagno, sembra aver accentuato le difficoltà. Secondo quanto emerso, Mailyn soffriva di una depressione post-partum e si sentiva sola, isolata, incapace di reagire alla pressione.
Alessandro violento, Mailyn impaurita
La donna ha raccontato agli inquirenti di aver subito violenze continue da parte di Alessandro. Maltrattamenti, controllo ossessivo, minacce. Episodi ripetuti, anche davanti alla madre di lui, Lorena.
E se ti dicessimo che, proprio per paura, Mailyn avrebbe cominciato a confidarsi con la suocera? Che le due donne, unite dalla disperazione e da un amore materno condiviso, si sarebbero convinte che l’unica via d’uscita era la più estrema?
La frase che ha cambiato tutto
Secondo la versione emersa durante le indagini, sarebbe stata Mailyn a pronunciare la frase chiave:
“L’unico modo per fermarlo è ucciderlo.”
Un’affermazione che, se confermata, peserà come un macigno nel processo. Non è solo una confessione di debolezza. È l’origine di un gesto irreversibile.
Il ruolo di Mailyn nel delitto
La notte tra il 25 e il 26 luglio, Alessandro viene sedato con farmaci. Lorena tenta di iniettargli insulina, ma non basta. Alla fine, è Mailyn ad agire: lo strangola con i lacci delle scarpe. Non da sola, ma con la consapevolezza della madre di lui, che avrebbe voluto solo addormentarlo.
Il corpo viene fatto a pezzi, messo in un bidone di plastica e coperto con calce viva, comprata nei giorni precedenti. Non è un dettaglio da poco: quel bidone e quella calce suggeriscono che non si sia trattato di un gesto impulsivo, ma di un piano costruito.
I giorni dopo l’omicidio
Mentre il corpo del compagno giaceva nascosto in cantina, Mailyn continuava a uscire ogni mattina con la carrozzina, come se nulla fosse accaduto. Uscite brevi, silenziose. Finché non ha avuto un malore davanti al contenitore della morte.
Ora si trova in una struttura protetta a Venezia, perché madre di una bambina sotto l’anno di età. È accusata di omicidio pluriaggravato e istigazione all’omicidio, ma non si trova in carcere come Lorena. La legge prevede misure attenuate per le madri con neonati.
Vittima o carnefice?
Mailyn si muove su un crinale molto sottile. Da un lato, c’è l’immagine di una donna sola, maltrattata, depressa, che cerca protezione nella suocera. Dall’altro, c’è l’ombra della manipolazione: le frasi pronunciate, gli atti compiuti, il sangue sulle mani.
Quanto c’è di disperazione, e quanto di premeditazione?
Cosa succede adesso
Il suo ruolo sarà oggetto di analisi serrata nei prossimi mesi. L’autopsia stabilirà le cause della morte e i tempi precisi. I messaggi, le ricerche online, le testimonianze proveranno a ricostruire chi ha fatto cosa. E soprattutto: chi ha deciso.
Per ora, sappiamo solo che una donna di trent’anni, madre e OSS, è accusata di aver ucciso il compagno con la complicità della suocera. Un caso senza precedenti, che lascia dietro di sé una domanda che fa male:
Se la paura ti spinge all’omicidio… dove finisce il confine tra vittima e colpevole?
FAQ su Mailyn Castro Monsalvo
Quanti anni ha Mailyn Castro Monsalvo?
Ha 30 anni.
Da dove viene?
È originaria della Colombia, ma viveva da anni in Italia.
Che lavoro faceva?
Lavorava come operatrice socio-sanitaria in una struttura per anziani.
Aveva figli?
Sì, una bambina di sei mesi avuta da Alessandro Venier.
È in carcere?
No. È stata trasferita in una struttura protetta per madri con figli minori di un anno.
Quali sono le accuse contro di lei?
Omicidio pluriaggravato e istigazione all’omicidio.
“Head Staff”, giornalista pubblicista laureata in letteratura, amo scrivere e apprendere costantemente cose nuove. Trovo che il mestiere del giornalista sia uno dei più affascinanti che esistano. Ti consente di apprendere, di conoscere il mondo, farti conoscere e di entrare in simbiosi con il lettore






