Chi era Shlomo Graber: l’ultimo testimone della Shoah in Svizzera, morto a 99 anni

Serena Comito

Chi era Shlomo Graber: l’ultimo testimone della Shoah in Svizzera, morto a 99 anni

Certe vite parlano anche quando si spengono.
La morte di Shlomo Graber, avvenuta ieri a Basilea all’età di 99 anni, segna la fine di una generazione di testimoni: quelli che hanno guardato in faccia l’orrore della Shoah e, una volta fuori dai cancelli, hanno deciso di raccontare.

Dall’infanzia in Europa orientale al buio di Auschwitz

Shlomo Graber nasce nel 1926 a Maidan, in Transcarpazia, terra di confine che oggi appartiene all’Ucraina ma che, in quegli anni, era Cecoslovacchia. A soli cinque anni si trasferisce in Ungheria con la famiglia.
Il destino cambia all’improvviso nel maggio 1944: la deportazione ad Auschwitz, l’addio forzato alla madre, ai fratelli, ai parenti più cari. È la fine della sua infanzia e di un intero mondo. Solo pochi ne usciranno vivi.

Graber sopravvive ad Auschwitz e poi ai campi di lavoro di Fünfteichen e Görlitz. Passa anche attraverso una delle “marce della morte” che uccisero migliaia di prigionieri a guerra ormai quasi finita.

La rinascita: Israele, Basilea e la forza dell’arte

Uscito dal lager, Shlomo sceglie la vita. Emigra in Israele, dove resterà per anni e servirà nell’esercito, pur raccontando di non aver mai sparato un colpo.
Nel 1989, ormai adulto, si trasferisce a Basilea, in Svizzera, accanto a Myrtha Hunziker. Qui si reinventa artista: apre la “Galerie Spalentor”, dipinge, scrive, racconta la sua storia senza mai cedere all’odio.

La memoria come missione

Graber non ha mai voluto farsi chiamare “sopravvissuto” e basta. Ha trasformato la sua vita in un messaggio di pace e di testimonianza.
Il titolo del suo libro più famoso è quasi una dichiarazione d’intenti: Il ragazzo che non voleva odiare.
Il ricordo dei genitori — in particolare della madre, uccisa nei lager — è sempre stato il suo motore. In una delle sue ultime interviste diceva: “Mia madre mi ha insegnato che l’amore è più forte dell’odio, anche quando tutto sembra perduto”.

Era uno degli ultimi testimoni della Shoah in Svizzera.
Fino all’ultimo, ha parlato nelle scuole, davanti ai ragazzi, senza risparmiarsi. Le sue parole non erano mai piene di rabbia, ma di una domanda: “Cosa abbiamo imparato da tutto questo?”.
Era convinto che la memoria, senza il dialogo, non servisse a niente.

Un’eredità che resta

Oggi che Shlomo Graber non c’è più, resta il suo esempio: l’umiltà di chi ha visto tutto ed è sopravvissuto, la capacità di non farsi divorare dall’odio, l’impegno a trasmettere la memoria senza trasformarla in fardello.

In tempi in cui le voci dei testimoni sono sempre più rare, la sua assenza si sente forte. Forse la sua più grande lezione sta proprio qui: non smettere mai di raccontare, anche quando sembra inutile.
E non smettere mai di credere che, alla fine, la compassione sia più forte della violenza.

FAQ su Shlomo Graber

Chi era Shlomo Graber?
Un artista, scrittore e testimone della Shoah, sopravvissuto ad Auschwitz e ad altri campi nazisti.

Dove è nato?
Nel 1926 a Maidan, nell’attuale Ucraina, all’epoca Cecoslovacchia.

Cosa ha fatto dopo la guerra?
Ha vissuto in Israele e poi in Svizzera, dove ha gestito una galleria d’arte e si è dedicato alla memoria della Shoah.

Cosa ci lascia oggi?
Un esempio di resilienza e di fede nell’amore come unica risposta possibile all’odio.