Ti sei mai chiesto cosa spinga una persona a tornare su una montagna dove ha già perso tutto?
Natalia Nagovitsyna, alpinista russa di 47 anni, lo ha fatto. Dopo aver visto morire suo marito tra i ghiacci del Khan Tengri, è tornata a sfidare la montagna. E stavolta è stata lei a rischiare di non tornare più.
La sua storia, intrecciata a quella di un alpinista italiano morto per salvarla, ha commosso il mondo intero.
Natalia, l’alpinista che non ha mai smesso di salire
Non è una scalatrice da copertina. Natalia non cerca sponsor, non posta reel. Ma da anni affronta le vette più estreme dell’Asia centrale. Una vita fatta di silenzi, ghiaccio e vuoto d’aria.
Nel 2021, durante un tentativo sul Khan Tengri, Natalia vide morire suo marito Sergey, colpito da un ictus a quasi 7.000 metri. Non lo abbandonò. Rimase accanto a lui fino alla fine, rifiutando di scendere.
L’anno dopo tornò sulla stessa montagna, da sola. Ci lasciò una targa, nel punto esatto in cui l’aveva perso.
12 agosto 2025: il giorno in cui la montagna si è ripresa tutto
Stavolta era il Pobeda Peak, la montagna più alta del Tien Shan: 7.439 metri di altitudine, una delle più letali e isolate del mondo.
Durante la discesa, a circa 7.000 metri, Natalia si rompe una gamba. Non può muoversi. Rimane bloccata in una tenda danneggiata, senza radio, con pochissima acqua, pochissimo cibo.
Sola, in quota. Per giorni.
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L’uomo che le ha salvato la vita: Luca Sinigaglia
Il 13 agosto, due alpinisti—un tedesco e un italiano—riescono a raggiungerla. L’italiano si chiama Luca Sinigaglia. Ha 49 anni, è esperto, abituato alla fatica. Non la conosceva. Ma decide di rischiare tutto per lei.
Le porta un sacco a pelo, una bombola di gas, cibo, un fornello. Le salva la vita. Poi, scende.
Ma il meteo cambia. Una tempesta li travolge. Luca si congela le mani. In quota, a quella temperatura, può significare la fine. Si aggrappa alla vita per due giorni. Soffre di edema cerebrale, secondo un medico contattato via radio. Muore in una grotta di ghiaccio, poco sotto i 7.000 metri.
Il suo corpo è ancora lì.
Natalia è ancora viva
Il 20 agosto, un drone conferma: è viva. È ancora dentro quella tenda. Ancora in attesa. I soccorsi aerei sono impossibili per il maltempo. Una squadra di alpinisti è ferma a campo 2, in attesa della finestra buona per salire.
Ogni ora può essere l’ultima.
Cosa spinge queste persone?
C’è chi li chiama folli. C’è chi non capisce. Ma forse è proprio questo il punto: non tutto può essere compreso. Alcune vite si giocano su un altro piano, dove il pericolo è quotidiano e ogni passo è una scelta.
Natalia non ha mai cercato la morte, ma ha scelto la montagna sapendo di poterla incontrare. E Luca non ha mai chiesto gloria, ma ha fatto quello che pochi farebbero: salire per salvare una sconosciuta, sapendo che poteva non tornare.
FAQ – Domande frequenti su Natalia Nagovitsyna
Chi è Natalia Nagovitsyna?
Un’alpinista russa di 47 anni, esperta di spedizioni in alta quota. Nota per la sua storia personale e per la tragedia del Pobeda Peak.
Perché si parla di lei?
È rimasta bloccata a oltre 7.000 metri dopo essersi rotta una gamba, ed è stata soccorsa da un alpinista italiano che è poi morto nel tentativo di salvarla.
Chi era il soccorritore italiano?
Si chiamava Luca Sinigaglia, 49 anni. Le ha portato forniture vitali, ma è morto pochi giorni dopo, probabilmente per edema cerebrale e congelamento.
È ancora viva Natalia?
Sì, secondo le ultime notizie confermate il 20 agosto da un drone, è viva all’interno della tenda. I soccorsi sono in attesa di una finestra meteo utile per raggiungerla.
Dove si è verificato l’incidente?
Sul Pobeda Peak, in Kirghizistan, una delle montagne più difficili del continente asiatico.
“Head Staff”, giornalista pubblicista laureata in letteratura, amo scrivere e apprendere costantemente cose nuove. Trovo che il mestiere del giornalista sia uno dei più affascinanti che esistano. Ti consente di apprendere, di conoscere il mondo, farti conoscere e di entrare in simbiosi con il lettore






