Ci sono nomi che, anche a distanza di anni, continuano a riaprire ferite. Salvatore Raimondi è uno di quei nomi che difficilmente lasciano indifferenti. Oggi, dopo quasi vent’anni passati dietro le sbarre, la sua scarcerazione riaccende dibattiti, rabbia, riflessioni. Ma chi è l’uomo che finì al centro del caso più terribile che abbia segnato l’Italia degli anni Duemila?
Dal sequestro alla condanna: il caso che ha sconvolto il Paese
È il 2 marzo 2006 quando l’Italia si blocca per la sparizione di Tommaso Onofri, un bambino di soli 18 mesi rapito dalla sua casa di Parma. In pochi giorni si capisce che la vicenda è qualcosa di più di un semplice “giallo di provincia”: la famiglia Onofri è distrutta, i media sono ovunque, la tensione cresce.
Nel cuore dell’inchiesta spunta il nome di Salvatore Raimondi, operaio con precedenti penali e frequentazioni ambigue. Il dettaglio che lo incastra? Una sua impronta digitale trovata sul nastro adesivo usato per immobilizzare il piccolo.
La confessione arriverà poco dopo, incrociata a quelle degli altri imputati: Mario Alessi e Antonella Conserva.
Se ti chiedi come sia stato possibile, ancora oggi in tanti se lo domandano.
Processo e condanna: una verità dolorosa
Raimondi sceglie il rito abbreviato e viene condannato a 20 anni di carcere per sequestro di persona con morte non voluta dell’ostaggio. Una pena pesantissima, ma per molti ancora troppo lieve di fronte all’orrore di quel delitto.
Nel frattempo, Alessi viene condannato all’ergastolo per aver materialmente ucciso Tommaso, mentre la Conserva prende 24 anni come complice.
Eppure, a chi segue la storia da fuori, resta una domanda sospesa: quanto si può pagare per un crimine così? E la giustizia, davvero, arriva mai per tutti?
Gli anni in carcere: silenzio, matrimonio, altri guai
Durante la lunga detenzione, Raimondi non ha mai chiesto permessi premio, dicendo che non li riteneva “giusti” rispetto al reato commesso. Un atteggiamento che ha sorpreso anche chi lavora nel mondo penitenziario.
Nel 2016, si è sposato con una donna conosciuta in carcere, anch’essa detenuta. Ma la sua storia dietro le sbarre non è stata priva di nuovi problemi: nel 2018 è arrivata un’altra condanna, stavolta per estorsione nei confronti di un altro detenuto. Tre anni e mezzo in più, che lo hanno costretto a posticipare la scarcerazione.
Dal 2024, in semilibertà, lavorava in un magazzino di Forlì come operaio, rientrando ogni sera in cella. Oggi è tornato libero, vive sempre a Forlì e ha trovato un impiego in un supermercato – ma in un ruolo che non lo mette mai a contatto con la clientela.
La scarcerazione e le reazioni: il dolore che non si spegne
La notizia che Raimondi sia tornato uomo libero non ha lasciato indifferente nessuno.
Paola Pellinghelli, mamma di Tommaso, ha commentato con amarezza:
“Che si goda la sua vita, noi invece siamo condannati per sempre. Non auguro loro il male, ma non voglio sentire parlare di perdono.”
E tu? Cosa penseresti se fossi nei panni di chi ha perso tutto?
Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha twittato:
“Questa non è giustizia. Un pensiero a quel piccolo angelo e a chi lo ricorda e lo piange ancora oggi.”
Non sono solo parole: la vicenda divide l’Italia, tra chi crede nelle seconde possibilità e chi pensa che certi reati non si possano mai davvero espiare.
Oggi: una vita in ombra
Oggi Salvatore Raimondi è un uomo di 50 anni segnato da una storia che non gli appartiene più, almeno sulla carta. Lavora lontano dai riflettori, parla poco, non cerca visibilità.
Secondo il suo avvocato, avrebbe compiuto “un percorso rieducativo vero”, ma resta la domanda: può davvero il tempo, da solo, cambiare il senso di una vita?
FAQ – Le domande che tutti si pongono
Perché Salvatore Raimondi era in carcere?
Per il sequestro del piccolo Tommaso Onofri, rapito e poi morto nel 2006.
Quanti anni ha scontato?
Vent’anni, compresi gli ultimi in semilibertà, più una pena aggiuntiva per estorsione.
Dove vive e cosa fa oggi?
Vive a Forlì e lavora in un supermercato come magazziniere.
Ha mai chiesto perdono?
Non risultano pubbliche dichiarazioni di pentimento o richieste di perdono ai familiari della vittima.
Che cosa pensa la famiglia Onofri?
La madre di Tommaso si è detta “condannata per sempre”, ribadendo che il dolore non passerà mai.
“Head Staff”, giornalista pubblicista laureata in letteratura, amo scrivere e apprendere costantemente cose nuove. Trovo che il mestiere del giornalista sia uno dei più affascinanti che esistano. Ti consente di apprendere, di conoscere il mondo, farti conoscere e di entrare in simbiosi con il lettore






