Amaro Supremo: la tradizione del liquore calabrese che riscopre i tempi lenti

Daniela Devecchi

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Ci sono sapori che non si possono riprodurre in laboratorio. Hanno bisogno di storie, di tempo, di mani che conoscono il mestiere. L’Amaro Supremo nasce così, tra le colline calabresi e la memoria di chi, da generazioni, seleziona erbe e spezie per creare un liquore diverso da ogni altro.

Non è curioso che, in un mondo dove tutto corre veloce, certe produzioni continuino a chiedere calma? La lentezza, qui, non è una debolezza. È un valore.

La ricetta segreta di un amaro artigianale calabrese

L’Amaro Supremo è fatto con ingredienti di eccellenza calabrese, BERGAMOTTO- FINOCCHIETTO- ALLORO.

Il risultato è un amaro dal gusto intenso, con note profonde, ma mai eccessive. L’amaro si fa sentire, ma lascia sempre spazio a sfumature balsamiche e a una piacevole sensazione di equilibrio che persiste a lungo.

Da queste parti, l’amaro non è solo un digestivo. È un piccolo rituale che chiude una cena, una scusa per trattenersi a chiacchierare ancora un po’. Tradizionalmente si serve liscio, magari leggermente fresco, in un bicchiere che aiuta a percepirne il profumo.

Oggi però molti scelgono di sperimentare. C’è chi lo versa su un paio di cubetti di ghiaccio, chi lo usa come ingrediente di cocktail più moderni. Non è raro trovarlo nei drink di tendenza, in abbinamento a vermouth, bitter o persino gin. La mixology contemporanea ha riscoperto il fascino degli amari artigianali, e il Supremo si presta bene a chi cerca un carattere deciso senza rinunciare all’armonia.

E se ti dicessimo che un liquore nato in Calabria può diventare protagonista di un Negroni o di un twist sul Manhattan? Sono piccole contaminazioni che raccontano come la tradizione possa dialogare con la creatività.

L’amaro come patrimonio culturale locale

In un’epoca di produzioni seriali e gusti sempre più standardizzati, Amaro Supremo rivendica con orgoglio il suo carattere artigianale. Ogni lotto è leggermente diverso, perché la raccolta delle erbe cambia di anno in anno, seguendo le stagioni e la disponibilità naturale.

Questa variabilità non è un limite, ma la prova di un legame profondo con il territorio. Bere un bicchiere di Santer significa anche assaggiare un frammento di Calabria: le sue colline, i profumi delle erbe spontanee, la sapienza di chi lavora ancora come una volta.

Non è solo un prodotto. È un racconto liquido che conserva gesti antichi e una memoria collettiva che rischierebbe di perdersi.

Chi sceglie un amaro come il Supremo raramente cerca soltanto un effetto digestivo. Piuttosto, cerca un sapore capace di evocare ricordi. Magari una cena in famiglia, una serata in un’osteria piemontese, o quel brindisi improvvisato che chiude una giornata difficile.

Il fascino dell’amaro sta anche in questa capacità di restituire un senso di intimità. Non è curioso pensare che un sorso possa riportare alla mente momenti che credevamo dimenticati? Forse è proprio in questo intreccio di gusto e memoria che si nasconde la vera forza dei liquori artigianali.

E se oggi la parola “artigianale” viene usata fin troppo, nel caso di Amaro Supremo sembra riacquistare un significato più autentico. È il racconto di una lentezza che non si piega alle mode e di un sapere che preferisce restare fedele alle proprie radici.