Tra le tante cose che la Sicilia regala, c’è un frutto che non è solo buono. È riconoscibile a prima vista, profuma d’inverno, e in ogni spicchio si porta dietro pezzi di terra, vulcano e memoria. L’Arancia Rossa di Sicilia, quella vera, è più di un semplice agrume. È un’identità.
Coltivata nei territori attorno all’Etna, in un’area che abbraccia parte delle province di Catania, Enna e Siracusa, nasce in condizioni che non si replicano altrove. I forti sbalzi termici, la luce secca, il suolo vulcanico: è tutto lì, nel colore rosso vivo della buccia e nella polpa screziata, spesso insanguinata come solo la natura sa fare. Le varietà? Tarocco, Moro, Sanguinello. Ognuna con un carattere diverso, ma tutte legate al posto dove crescono.
Leggi anche: Chi è Omar Paterlini? Il primogenito di Orietta Berti: età, studi, lavoro, vita privata
Una coltivazione da origini antiche
La coltivazione ha origini antiche, si parla addirittura dell’epoca araba. Ma è solo con il tempo che questo frutto ha iniziato a distinguersi per qualità, profilo aromatico e aspetto. Così, nel 1994, nasce il Consorzio di Tutela. Un’alleanza tra produttori, agronomi, aziende di trasformazione e confezionamento che oggi rappresenta una delle realtà più solide del comparto agrumicolo italiano.
Parliamo di numeri, perché contano. Più di 500 aziende agricole, oltre 7000 ettari coltivati (di cui 800 biologici), circa 30 milioni di chili ogni anno. Il frutto, fresco o lavorato, finisce sulle tavole d’Italia e d’Europa. Ma anche oltre: gli Stati Uniti, Singapore, persino la Cina.
Dietro a ogni raccolta c’è un’economia viva, fatta di posti di lavoro e stagionalità. La filiera muove circa 50.000 giornate lavorative all’anno e oltre 40 milioni di fatturato. Non è poco, soprattutto in una zona dove trattenere i giovani significa molto. Il valore economico va oltre il prezzo al chilo. C’è un indotto: trasporti, etichette, comunicazione, turismo.
Il Turismo DOP
Sì, anche turismo. Da qualche tempo si parla di “Turismo DOP”: un’idea semplice, ma efficace. Vedere dove nasce un prodotto, conoscere chi lo coltiva, assaggiarlo lì, tra gli alberi. Ogni inverno, per esempio, il Consorzio organizza una salita simbolica sull’Etna. Una cassa di arance viene portata in vetta da un gruppo di produttori. È un gesto che vale più di tante parole. Racconta il legame con la montagna, con la fatica, con il paesaggio.
E poi c’è la sostenibilità. Gli aranci sono piante sempreverdi, assorbono CO₂ tutto l’anno. E in una zona con poca vegetazione spontanea, fanno la differenza. Quest’anno, nonostante la siccità, le arance sono arrivate comunque sul mercato con una qualità ottima. Il merito? Di chi ha lavorato giorno per giorno razionando l’acqua, adattandosi al clima che cambia. Anche questo è il valore della IGP: regole chiare, rispetto per l’ambiente, attenzione alla filiera.
Un marchio, una garanzia
Il Consorzio, oltre a promuovere, protegge. Lo fa con controlli regolari, in Italia e all’estero. Nel 2024 sono state fatte circa 200 verifiche. Tutela contro l’uso improprio del nome, contro chi cerca di confondere i consumatori con etichette vaghe o ambigue. Non è solo difesa di un marchio, ma di un intero sistema.
Oggi l’Arancia Rossa di Sicilia IGP è fra i primi tre prodotti ortofrutticoli italiani a marchio per valore. Ma il suo vero peso non si misura in classifiche. Si misura nel fatto che resta autentica. Un prodotto agricolo, certo, ma anche culturale. Che parla di Sicilia come poche altre cose.

Sono giornalista pubblicista laureata in letteratura e content manager con una grande passione per la scrittura