Chi era Graziano Mesina, l’ex bandito sardo morto a 83 anni

Si è spento il 12 aprile 2025 a Milano, in un letto dell’ospedale San Paolo, Graziano Mesina, 83 anni. Per decenni il suo nome è stato sinonimo di banditismo, sequestri, evasioni e sangue. Ma anche di una Sardegna arcaica, ribelle, misteriosa.
Per tutti era “Gratzianeddu”. E il suo volto era entrato nella storia criminale italiana, nel bene e nel male.

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Dal primo arresto alla leggenda nera

Mesina nasce a Orgosolo nel 1942. A soli 14 anni viene arrestato per la prima volta: aveva con sé un fucile rubato. Da lì in poi la sua vita diventa una lunga scia di reati e fughe.
Omicidi, sequestri di persona, traffici illeciti. Ma soprattutto evasioni: almeno dieci, una delle quali rocambolesca, durante un permesso premio.

Negli anni ’60, mentre il resto d’Italia correva verso il boom economico, lui diventava un simbolo oscuro della Sardegna interna. Nel 1968 il New York Times lo definì “il bandito più ricercato d’Italia”.

La grazia, la speranza, la ricaduta

Nel 2004, dopo anni di carcere, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli concesse la grazia. Sembrava la fine di un capitolo: Mesina tornò a Orgosolo, provò a reinventarsi come guida turistica. Alcuni lo chiamavano ancora “bandito”, altri lo vedevano come un simbolo di redenzione.

Ma quella parentesi durò poco. Nel 2013 fu di nuovo arrestato, stavolta per traffico internazionale di droga. Condannato nel 2016 a 30 anni, perse anche la grazia. Tornò ad essere un ricercato, e nel 2021 fu catturato mentre era in fuga tra le montagne del nuorese.

La malattia e la fine

Negli ultimi mesi, la sua salute è peggiorata. Una grave patologia oncologica lo ha costretto a ricoveri continui, fino al trasferimento definitivo nel carcere di Opera, a Milano.
L’11 aprile, il tribunale di sorveglianza ha concesso il differimento della pena per motivi umanitari. Il giorno dopo, Graziano Mesina è morto. Accanto a lui, secondo fonti legali, c’erano alcuni familiari.

Un’icona controversa

La figura di Mesina ha diviso per decenni: c’era chi lo considerava un simbolo romantico della ribellione, chi invece vedeva solo un criminale violento, colpevole di aver trascinato la Sardegna in un’epoca di sangue e silenzio.

Quel che è certo, è che la sua morte chiude una pagina lunga, complessa, a tratti mitizzata, ma profondamente radicata nella storia italiana del dopoguerra.

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