Neanche il coronavirus riesce a fermare o, perlomeno, arginare lo sfruttamento indebito del marchio Made in Italy da parte di imprese che con il nostro Paese non hanno nulla a che vedere.
Per assurdo, anzi, proprio il ruolo sempre maggiore delle vendite online rischia di favorire quello che è stato definito l’italian sounding sul mercato agroalimentare. Chi acquista sul web, infatti, ha minori possibilità di verificare la reale provenienza dei prodotti che sfruttano il prestigio delle nostre eccellenze. Con una evidente lesione non solo in termini economici, ma anche di reputazione del nostro Pese.
La segnalazione all’Ispettorato centrale repressione frodi
Di fronte ad un fenomeno sempre più evidente, il nostro Paese si è rivolto all’Ispettorato centrale repressione frodi. Lo ha fatto per mezzo di una lettera inviata il 10 aprile dal ministero dello sviluppo economico, nel quale si segnalava l’uso illegittimo a fini pubblicitari dell’immagine dell’Italia e della ormai celebre qualità delle produzioni alimentari tricolori. Un vulnus non solo al principio di leale concorrenza fra le imprese, ma anche al prestigio del Made in Italy.
Le dimensioni del fenomeno
Per capire il danno che deriva al Paese dall’italian sounding, basta ricordare che il suo giro d’affari viene stimato intorno ai 54 miliardi di euro all’anno. In pratica più del doppio di quanto riesce a fatturare il Made in Italy dell’agroalimentare, che si ferma a quota 23 miliardi. Un danno che peraltro il nostro Paese sconta con migliaia di posti di lavoro in meno.
Di fronte a questo vero e proprio attacco della contraffazione, l’Europa come al solito rivolge la faccia dall’altra parte. Non esiste infatti una legislazione armonizzata e in molti Paesi pratiche tese a stroncare pratiche di questo genere sono apertamente tollerate. In evidente contrasto con i tanto strombazzati principi di appartenenza europea e ad una condivisione di fini che esiste solo sulla carta.